Monday, November 19, 2018

Lo Specchio di Galadriel: Magia e Mito in Tolkien


Lo Specchio di Galadriel: Magia e Mito in Tolkien

“E infine eccolo qui. Mi daresti l’Anello di tua iniziativa! Invece di un Oscuro Signore tu avresti una Regina. Non oscura ma bellissima e terribile come il Mattino e la Notte! Splendida come il Mare e il Sole e la Neve sulla Montagna! Terribile come la Tempesta e il Fulmine! Più forte delle stesse fondamenta della terra. Tutti mi ameranno, disperandosi!”
Lo Specchio di Galadriel, La Compagnia dell’Anello

E’ riconosciuto come Tolkien non apprezzasse molto la magia. O, per meglio dire, che preferisse non dare il titolo di ‘magico’ ad avvenimenti ed abilità straordinarie. Come scrisse nelle Lettere, la parola stessa non riusciva a rendere completamente il significato intrinseco del termine, ovvero una forma d’arte che ha un effetto su persone e cose ad un livello profondo, e ne cambia la natura stessa, più che le apparenze. Quel che tenteremo di analizzare in questo breve excursus letterario, sono le somiglianze fra l’idea di magia espressa da Tolkien e il concetto rinascimentale di arte magica, per come fu sviluppato dai filosofi del quindicesimo secolo, fondatori del movimento noto come Neoplatonismo. L’attenzione si sposterà dunque verso la figura di Lady Galadriel, tentando di spiegare perché il suo personaggio sembri incarnare l’idea rinascimentale di mago, nella sua vita come nella sua arte.
La prima domanda che andrebbe probabilmente posta è, che cosa si intende per magia neoplatonica? Senza pretendere di dare una risposta in poche parole ad una questione così complessa, proviamo a farci un’idea semplificata in merito. Secondo Marsilio Ficino, uno dei maggiori filosofi e fondatori della Nuova Accademia Platonica – la magia è la più alta e pura forma d’arte e può essere ottenuta e perfezionata da anni di studi e coltivazione spirituale. Il mago possiede un potere di creazione simile a Dio e il suo scopo deve essere prima di tutto quello di elevarsi spiritualmente, per poi usare i propri poteri sul mondo che lo circonda e ripristinare equilibrio e armonia. La sua vita deve riflettere il Mondo delle Idee, di cui Dio è creatore e sorgente prima. Poiché la magia era considerata la più alta forma d’arte, seconda soltanto alla Creazione, il magus rappresentava l’artista ideale, portatore di bontà e cura.

La Creazione - Michelangelo, Cappella Sistina

Se pensiamo agli Elfi, ci accorgiamo immediatamente come le loro idee non differissero troppo da quelle dei Neoplatonici. Innanzitutto, essi hanno uno stretto legame con Arda in quanto primi nati dal momento della Creazione, e ne condividono il destino di lento declino e scomparsa. Quando muoiono finiscono in un limbo nel quale sono costretti ad attendere la fine del mondo. E’ come se Arda fosse un’estensione del loro corpo e della loro anima – devono proteggerla e allo stesso tempo possono darle forma, renderla bellissima o distruggerla. Qualsiasi opera compiano, hanno il controllo di qualcosa in più della mera realtà superficiale. Sembra che abbiano accesso diretto ai principi fondanti della natura, gli stessi principi che regolano la vita in Arda. In effetti essi sono eccezionalmente versati nelle arti: gli oggetti che creano possiedono poteri straordinari e i luoghi che abitano sono dotati di un’aura speciale o di qualità spirituali che li rende santuari potenti. Le loro abilità magiche sono sempre legate a forme d’arte che modificano la natura intima delle cose, proprio come facevano i Neoplatonici. Infatti, uno degli elementi chiave della magia ficiniana erano i talismani e gli amuleti, oggetti in cui il mago instillava il potere degli astri, e che erano caratterizzati da proprietà altamente curative. Dai Silmaril di Feanor agli Anelli del Potere, fino a boschi incantati e alle armi potenti, le opere di Tolkien abbondano delle potenti creazioni Elfiche.


I frammenti di Narsil - Lo Hobbit il film

Secondo Marsilio Ficino l’unico tipo di magia permessa è quella naturale, ovvero quella che sfrutta l’influsso astrale e planetario per modificare la realtà materiale e migliorarla: il cosmo è diviso in tre parti, collegate le une con le altre. La prima parte è la più nobile, quella che emana direttamente da Dio e che nella filosofia platonica corrisponde al mondo delle Idee: è il mondo dell’Intelletto, o Mente Angelica (o mondo sopraceleste); in esso risiedono le forme pure della realtà e gli angeli; la seconda parte è il mondo celeste, o Anima Mundi: in essa risiedono le potenze astrali e planetari, che discendono per mezzo di Luce dalle forme pure; la terza ed ultima parte è la Terra, o Corpus Mundi: le forme materiali corrispondenti delle Idee. Questa tripartizione dell’universo è applicabile anche all’Uomo perché egli è microcosmo del grande disegno divino: la Mens Angelica nell’Uomo corrisponde alla Mens, che è in grado di comunicare direttamente con la Mente di Dio attraverso l’Intelletto; il Corpus Mundi diventa nell’Uomo il Corpo, e l’Anima Mundi l’Anima, o Ratio. Essa, sia per quanto riguarda il cosmo che per quanto riguarda l’Uomo, funge da intermediaria fra i due poli opposti e pervade tutta la materia. Ficino individua un canale fra l’Anima e il Corpo, lo spiritus: si tratta, scrive il filosofo, di una sostanza impalpabile, ariosa; attraverso di essa promana l’influsso delle stelle ed è questo che il mago sfrutta per agire sulla realtà. I tre mondi, sopraceleste, celeste e terrestre sono interconnessi, perché le Idee del mondo superiore proiettano ombre di se stesse sulle stelle che poi diventano materia sulla Terra e l’uomo, in quanto microcosmo, svolge un ruolo centrale all’interno di questo raffinato meccanismo: egli è simile a Dio perché come lui è creatore, artista.

Ficino suddivide le arti in una scala gerarchica: ci sono le arti domestiche, che aiutano a provvedere ai bisogni primari, quelle governative, che regolano l’ordinamento di una società; le arti musicali, matematiche, l’esplorazione delle cose della natura, la poesia e l’oratoria sono arti superiori, perché rivelano la partecipazione della Mens umana a quella divina. C’è, infine, la suprema forma d’arte, la magia: essa è la più grande di tutte, è l’apice del potenziale creativo dell’Uomo e la prova della sua natura divina perché permette di agire sulle forze che governano il Creato. Per essere iniziato alle pratiche magiche il magus deve prima compiere un percorso di redenzione, contemplando le Idee presenti nella Mente: quando l’anima è purificata, si ottiene la capacità di agire sul secondo livello di esistenza del cosmo, il mondo celeste. Così, se una forma sulla Terra si degrada, il mago può intervenire agendo sulla forza celeste che la governa. Quel che più conta però per Ficino, è il benessere fisico e mentale del mago stesso, che deve prima di tutto impiegare le arti apprese sulla propria anima. Come Dio ha creato l’uomo a propria immagine, così l’anima modella il corpo secondo la sua forma e lo utilizza per modificare la realtà attorno a sé attraverso l’arte magica. L’anima può anche trascendere il corpo elevandosi in un’estasi spirituale, un processo che le permette di esercitare un potere trasformante sull’intero cosmo o di indirizzare la propria influenza dal suo corpo ad un altro. La magia di Ficino quindi può essere rivolta verso se stessi (magia soggettiva) o verso la realtà materiale (magia transitiva): nel primo caso il mago attira lo spiritus mundi su di sé, unendolo al proprio per ottenere benefici mentali e fisici; nel secondo caso egli imprime al proprio spiritus l’influenza di un pianeta o di una stella e la proietta verso l’obiettivo che preferisce attraverso lo sguardo. Questo secondo tipo di magia apre scenari vagamente inquietanti: il mago sarebbe in grado, proiettando i diversi influssi, anche di prendere il controllo della mente altrui; per questo, spiega Ficino, la magia transitiva può essere usata solo da chi abbia il pieno controllo della magia soggettiva e una sufficiente preparazione spirituale.

Galadriel a Lothlórien (Annie Stegg)

In tal senso Galadriel sembra incarnare l’idea neoplatonica di mago: è elevata spiritualmente, è potente e vive oltre il tempo e lo spazio, riesce ad avere controllo sugli elementi della natura ovviamente, ma il suo potere va molto oltre. Lothlórien non è solamente un ‘bosco incantato’: c’è qualcosa in più in esso che lo rende un locus amoenus, un santuario di cura e redenzione, ma anche un luogo per rivivere memorie antiche e vite passate.

«A Lórien le cose del passato vivevano ancora. Il male vi era stato visto e udito, e il dolore più volte provato; gli Elfi temevano e diffidavano del resto del mondo: i lupi ululavano ai margini del bosco: ma sulla terra di Lórien non vi era alcuna ombra»
Lo Specchio di Galadriel, La Compagnia dell'Anello

«La sua casa era perfetta, che vi piacesse il cibo, o il sonno, o il lavoro, o i racconti, o il canto, o che preferiste soltanto star seduti a pensare, o anche se amaste una piacevole combinazione di tutte queste cose. In quella valle il male non era mai penetrato»
Un Breve Riposo, Lo Hobbit


Al contrario di Granburrone, luogo di riposo e ristoro, Lothlórien possiede una qualità strana, talvolta inquietante. Le persone e le creature che vi entrano subiscono profondi cambiamenti, affrontano paure inconsce e scoprono nuove cose di se stessi. Tuttavia, Galadriel non sembra poter cambiare direttamente le persone, piuttosto, le influenza in maniera indiretta. Il suo influsso è percepibile ma mai coercitivo: lascia che ognuno eserciti il libero arbitrio mentre mostra loro la retta via. Sussurra suggerimenti, fa sì che mettano in dubbio i propri sentimenti e si interroghino sulle proprie scelte. In questo senso, è un mago molto maturo, poiché utilizza il suo potere saggiamente, mai con l’intenzione di modificare direttamente la realtà. E’ in fondo molto simile a quanto fa lo stesso Gandalf: quando una situazione sembra sfuggire di mano, egli semplicemente si fa avanti e prende il controllo. Tuttavia, non agisce mai per modificare direttamente il corso naturale delle cose. D’altra parte, egli, come d’altro canto Galadriel, può letteralmente prevedere quali saranno le conseguenze: la loro preveggenza non si limita al guardare indietro nel tempo ma può precorrere il dipanarsi delle azioni lungo il loro corso. Questa è una delle ragioni per cui nessuno dei due sceglie di non prendere l’Anello per esempio: nel neoplatonismo il mago che lasci che il desiderio di potere prenda il controllo sarà consumato da esso e finirà col portare distruzione al mondo che lo circonda. Se Galadriel avesse preso l’Anello, sarebbe probabilmente diventata l’essere più potente che la Terra di Mezzo abbia mai conosciuto: sarebbe stata spazzata via e al suo posto ci sarebbe stata morte e distruzione. Al contrario, ella decide di rinunciare ai propri poteri e accettare il proprio destino, lasciando infine la Terra di Mezzo e il suo fato nelle mani degli Hobbit e degli Uomini. E’ proprio questo che un mago saggio ed esperto dovrebbe fare: poiché ha avuto esperienza di avidità e sete di potere (basti pensare alla sua lunga vita e a tutto quello che ha dovuto affrontare, dal suo appoggio alla follia di  Fëanor nella Prima Era fino ad assistere alla distruzione del Beleriand e all’esilio dalle terre immortali di Valinor) decide di mettersi da parte e infine rinunciare ai propri poteri. In maniera simile ad un altro mago neoplatonico, lo shakespeariano Prospero ne La Tempesta – Galadriel sceglie di ‘rompere il suo bastone’ e lasciare la magia.



Bibliografia
- Ficino, Marsilio, Sulla Vita, [1489], a cura di Alessandra Tarabochia Canavero, Milano, Rusconi,
1995.
- Ficino, Marsilio, Teologia Platonica, [1474], a cura di Errico Vitale, Milano, Bompiani, 2011.
- Della Mirandola, Giovanni Pico, Della Dignità dell’Uomo, [1486], a cura di Giovanni Semprini,
Genova, Il Basilisco, 1985.
- J.R.R Tolkien. Unnished Tales, "The History of Galadriel and Celeborn". George Allen & Unwin,
1980.
- J.R.R Tolkien. The Silmarillion, "Of the Rings of Power and the Third Age". George Allen & Unwin,
1977.
- J.R.R Tolkien. The Lord of the Rings: The Fellowship of The Ring, Book II "The Mirror of Galadriel".
George Allen & Unwin, 1954
- Stratford Caldecott. Secret Fire: The Spiritual Vision of J.R.R. Tolkien. Longman & Todd, 2003
- Verlyn Flieger. Splintered Light: Logos and Language in Tolkien's World. Grand Rapids, 1981.
- Jonathan S.McIntosh. The Flame Imperishable: Tolkien, St.Thomas, and the Metaphysics of Faërie.
Angelico Press, 2017.
- Janet Brennan Croft. Perilous and Fair: Women in the Works and Life of J.R.R Tolkien. Mythopeoic
Press, 2015. - Verlyn Flieger. A Question of Time: J.R.R. Tolkien's Road to Faërie. Kent, 1997.
- Romuald Ian Lakowski. Mythlore: A Journal of J.R.R. Tolkien, C.S. Lewis, Charles Williams, and
Mythopoeic Literature, "The Fall and Repentance Of Galadriel". SWOSU Digital Commons, 2007.
- Riga, Frank P., Merlin, Prospero, Saruman and Gandalf: Corrosive Uses of Power in Shakespeare
and Tolkien, in Croft, Janet Brennan, Tolkien and Shakespeare: Essays on Shared Themes and
Language, Jefferson (North Carolina), McFarland, 2007, pp. 196-214. Rogers, L., W., Ceremonial
Magic in Shakespeare’s Plays, Whitesh, Kessinger Publishing, 2010.

Monday, October 15, 2018

The Mirror of Galadriel: Magic and Myth in Tolkien


 "And now at last it comes. You will give me the Ring freely! In place of the Dark Lord you will set up a Queen. And I shall not be dark, but beautiful and terrible as the Morning and the Night! Fair as the Sea and the Sun and the Snow upon the Mountain! Dreadful as the Storm and the Lightning! Stronger than the foundations of the earth. All shall love me and despair!"
The Mirror of Galadriel, The Fellowship of the Ring, LOTR 


It is widely known that Tolkien did not like magic a lot. Or rather, he preferred not to call extraordinary happenings and abilities magic. As he also writes in his Letters, the word ‘magic’ does not entirely cover the meaning he wants to convey - the idea of an art that touches people and things at a deep level, and that changes the inner nature of things, rather than their appearance. What we will try and explore in this short paper is the interesting similarity between Tolkien’s own idea of magic, and the Renaissance idea of ars magica as developed by the fifteenth century philosophers who founded the movement better known as Neoplatonism. The focus will then move towards looking at how lady Galadriel – one of the main characters of The Lord of the Rings and The Silmarillion – seems to perfectly embody the Renaissance idea of magus, in both her art and her life.

The first question we ought to probably ask ourselves is - what is Neoplatonic magic? Far from
thinking it possible to explain such a complex question in a few words, we can try and give a broad
idea of the matter. According to Marsilio Ficino, the main thinker and one of the founders of the Nuova Accademia Platonica - the first Neoplatonic Academy in Europe - magic is the highest and purest form of art and can be obtained and made perfect by years of study and spiritual perfection. The magus has a power of creation similar to God’s and her goal is to heal and elevate herself, and then extend her influence over the world around her to restore balance and harmony. Her life has to resemble that world of ideas of which God is the creator and source. Since magic was considered the highest form of art, second only to the art of Creation, the magus represents the ideal artist, a herald of goodness and healing.

Giordano Bruno's Vision of the Cosmos

If one thinks of Elves, one can immediately perceive how their ideas did not differ much from those 
of the Neoplatonists. Firstly, they have a tight bond with Arda, having been the first-born in its Creation and they share its destiny of slow decline and disappearance. By dying they end up in a limbo in which they have to wait Arda’s final days. Therefore it is almost as if Arda was an extension of their bodies and souls - they have to protect it and at the same time they can shape it, make it beautiful or destroy it. Whatever they do, they have control over something more than just reality. They seem to have access to the core rules of nature, the ones that regulate life on Arda. It is almost as if they had control over the Earth’s genetic code. In fact, they are exceptionally well-versed in  crafts: the objects they make possess extraordinary powers and the places they take care of possess special auras or spiritual qualities that make them sanctuaries filled with spiritual powers. Their powers are always related to forms of art that change the core of things, just like the Neoplatonists did. One of the key elements of Ficino’s magic were in fact amulets and talismans - objects in which the magus infused the power of the stars and that possessed healing powers. From Feanor's Silmarils to the rings of power, to enchanted woods and powerful weapons, Tolkien’s works are full of examples of the Elves' exceptionally powerful creations.

The Nuova Accademia Platonica in Florence, Italy

In the Neoplatonists' view, there are three stages of perfection that the magus can reach, according to the spiritual level she has achieved – magia naturalis, magia celeste and magia religiosa. Magia naturalis gives the magus control over the elements of nature. It is a basic, rough kind of magic, and the magus is more of a healer. Her duty is to provide protection and healing to the world around her. 
The second type of magic involves summonings – the magus has control over the second level of reality and can communicate and control the stars and the celestial world. Marsilio Ficino thought this was the ideal level for a magus, since it allowed him to infuse the power of the stars into objects and medicines, thus enhancing their inner powers and properties.

The third, and most dangerous type of magic is religious magic. Having access to the world of angels and demons, he can summon them to do his biddings. He has tremendous power over the world around him and can even control other people’s minds. This third type of magic is also the most dangerous. If the magus is not sufficiently (spiritually) prepared, he will not be able to tell the difference between good and evil spirits and will risk being consumed by his own power. Galadriel seems to embody a part of the Neoplatonic idea of what a magus should be like. Marsilio Ficino would say that she reached the highest level possible - the one that brings you closest to God. She is highly spiritually elevated, she is powerful and she is above space and time (she can look into all three dimensions of time - past, present and future). She has control over nature of course, but her control is far beyond the simple control over the natural elements. Lothlórien is not just an enchanted wood. There is something more about it that makes it a locus amoenus - a sanctuary for healing and recovery, but also a place for reliving ancient memories and past lives.

The power of the rings of Eregion for instance is that of echoing the beauty of Valinor. The rings given to the dwarves on the other hand, allowed them to find the richest treasures, at the expense of awakening Arda’s darkest forces, such as Balrogs and dragons. ‘It is long since any of my own folk journeyed hither back to the land whence we wandered in ages long ago - said Legolas - but we hear that Lòrien is not yet deserted, for there I a secret power here that holds evil from the land.

Lady Galadriel by John Howe

Unlike Rivendell, which is a place for resting and recovery, Lothlórien has something uncanny about
it, sometimes even disquieting. People and creatures entering it undergo profound changes, deal with inner fears and worries and discover new things about themselves. However, Galadriel does not seem to directly change people, whereas she prefers a less straightforward approach. Her influence is palpable but never coercive: she leaves people their free will while showing them the right way. She whispers suggestions, she makes people question their feelings and wonder about their decisions. In this sense, she is a very mature magus, because she uses her power wisely, never to directly affect reality. It is very similar to what Gandalf himself does: quite often, when a situation gets out of hand, he could simply step ahead and take control. Nonetheless, they will not do anything to directly tamper the natural course of things, nor they would ever go against what is considered to be the greater good. On the other hand, they can literally foresee what the outcomes can be and their clairvoyance does not limit itself to seeing back in time – they can foresee courses of action and consequences. This is one of the reasons why they decide to not take the ring for example. In Neoplatonism, the magus that lets desire for power take control will eventually be consumed by it and will end up bringing destruction to the world around him. If Galadriel had taken the Ring, she would have probably become the most powerful being Middle Earth has known for a while. She would have been erased from existence, while also bringing mass destruction and desperation to the world6. Instead, she decides to renounce her powers and accept her destiny, eventually leaving Middle-Earth and its fate in the hands of Hobbits and Men. This is precisely what a wise and expert magus is supposed to do: because she has experienced greed and thirst for power (one has only to think of her long life and everything she has been through – from siding with Fëanor in the First Age to seeing the destruction of the Beleriand region to having been exiled from the immortal lands of Valinor) she decides to step aside and eventually renounce her powers. Quite similarly to another great Neoplatonic magus - Shakespeare’s Prospero in The Tempest -  Galadriel chooses to ‘break her staff’ and give up her magic.                                                          


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Bibliography
- Ficino, Marsilio, Sulla Vita, [1489], a cura di Alessandra Tarabochia Canavero, Milano, Rusconi,
1995.
- Ficino, Marsilio, Teologia Platonica, [1474], a cura di Errico Vitale, Milano, Bompiani, 2011.
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Genova, Il Basilisco, 1985.
- J.R.R Tolkien. Unfinished Tales, "The History of Galadriel and Celeborn". George Allen & Unwin,
1980.
- J.R.R Tolkien. The Silmarillion, "Of the Rings of Power and the Third Age". George Allen & Unwin,
1977.
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Press, 2015. - Verlyn Flieger. A Question of Time: J.R.R. Tolkien's Road to Faërie. Kent, 1997.
- Romuald Ian Lakowski. Mythlore: A Journal of J.R.R Tolkien, C.S. Lewis, Charles Williams, and
Mythopoeic Literature, "The Fall and Repentance Of Galadriel". SWOSU Digital Commons, 2007.
- Riga, Frank P., Merlin, Prospero, Saruman and Gandalf: Corrosive Uses of Power in Shakespeare
and Tolkien, in Croft, Janet Brennan, Tolkien and Shakespeare: Essays on Shared Themes and
Language, Jefferson (North Carolina), McFarland, 2007, pp. 196-214. Rogers, L., W., Ceremonial
Magic in Shakespeare’s Plays, Whitefish, Kessinger Publishing, 2010.

Tuesday, October 31, 2017

Fantastico, occulto e magia in William Shakespeare. Parte 1: Un viaggio attraverso la magia rinascimentale.

Prospero doing magic: The Tempest.
Artwork by Edmund Spenser.
 Il seguente scritto parte da un’analisi dell’origine della figura del mago nell’Inghilterra del XVI secolo per arrivare allo studio del personaggio di Prospero nel dramma shakespeariano The Tempest. La magia in età elisabettiana e giacomiana era considerata in maniera controversa e chi la praticava poteva essere tacciato di santità o di essere in combutta con Satana, ma in ogni caso restava un personaggio misterioso, ai limiti dell’eticamente accettabile. La definizione stessa del termine poneva dei problemi per gli elisabettiani e molto spesso non ci si preoccupava molto di fare distinzioni di sorta, per cui mago poteva esserlo l’indovino ciarlatano, l’astrologo, l’alchimista, ma anche il frate o il medico. In effetti, da una prospettiva moderna, abituata alla severa distinzione di professioni e mestieri e alla categorizzazione di ruoli sociali, tale fumosa concezione può risultare snervante. Lo studioso odierno che rimanga affascinato da studi alchemici e da nebulose pietre filosofali concepite in antichi laboratori stracolmi di ribollenti alambicchi e formule magiche scritte in lingue occulte deve, volente o nolente, arrendersi di fronte alla disarmante poca scientificità con cui gli elisabettiani, filosofi o poeti che fossero, consideravano la realtà. Tale studioso può però tentare, se non una distinzione netta, almeno di rintracciare le diverse influenze che formarono la figura del Prospero shakespeariano. Proprio come un alchimista egli (o ella) può lavorare la materia grezza, per distillarne i componenti che la costituiscono e rintracciarne le origini, arrivando fino agli elementi primi. Un esperimento che vale la pena tentare. Girando e oscillando delicatamente l’alambicco contenente la mistura, una miriade di domande sembrano sprigionarsi dal liquido stesso ed entrare rimbombando nella testa del giovane apprendista mago: chi erano i maghi? C’era forse una concezione filosofica dietro la magia rinascimentale? E tale concezione nasceva in Inghilterra o in un altro Paese? Quali erano le reazioni nei confronti della magia? Colto da entusiasmo il giovane alchimista non può attendere oltre: accende la fiammella del distillatore, dispone gli strumenti ordinatamente sul tavolo da lavoro e comincia l’esperimento.


Alchimisti durante la distillazione. Liber de arte Distillandi by Hieronymus Brunschwig, 1512. Public Domain; courtesy of Wikimedia and the Chemical Heritage Foundation.


Da una prima distillazione riesce a ricavare un miscuglio poco chiaro, torbido: il primo componente distinguibile è però facilmente individuabile; si tratta della filosofia dei neoplatonici Marsilio Ficino e Giovanni Pico della Mirandola. Le loro teorie intrise di sincretismo religioso e filosofico diedero vita alla figura del magus, il sapiente che, avendo purificato la propria anima, ha ricevuto in dono da Dio il potere di operare sul mondo sfruttando le potenze superiori.  Il mago neoplatonico è erede del negromante e dell’esorcista medievali anche se si differenzia dai propri antenati in maniera netta: molto più raffinato e con un più consistente bagaglio filosofico alle spalle, il mago rinascimentale sente su di sé il peso di un dovere riformatore, quello di redimere il mondo con la propria arte magica. La sua vocazione fonde insieme misticismo e magia, perchè il percorso del mago è anche un percorso ascetico, di unione con Dio. Il suo progenitore, il mago medievale, è costretto a nascondersi, a praticare le sue arti in segreto, e molto spesso i suoi riti sono descritti come barbarici e rozzi: egli è negromante (prepara pozioni per risvegliare i morti) o esorcista (usa i suoi poteri per operare orrende evocazioni demoniache), non è mai dotto né tantomeno collega la sua magia a una qualche vocazione mistica. È un perseguitato e un reietto, e la sua arte non conosce fortuna durante i Secoli Bui. Tuttavia, qualcosa di lui rimane nel mago rinascimentale: lungi dal rinnegare la filosofia medievale, Ficino e Pico la ritengono un filo conduttore della prisca theologia, l’antica conoscenza esoterica dei misteri di Dio, dalle sue origini negli scritti dell’egiziano Ermete Trismegisto, nella filosofia gnostica e platonica (e plotinica) al cristianesimo dei loro anni. In poche parole, entrambi vedono la filosofia dei Padri della Chiesa, San Tommaso d’Aquino e Sant’Agostino in primis, confermare le proprie teorie neoplatoniche. Per fare un esempio, Ficino sostiene nel suo De vita Coelitus Comparanda (“del modo di ottenere la forza delle stelle”), sorta di manuale magico-medico, che anche San Tommaso d’Aquino, come lui, approvava l’uso a scopo terapeutico di oggetti magici come i talismani. Il neoplatonico rinascimentale è quindi prima di tutto un sincretista, perché crede che tutte le religioni e le filosofie contengano principi comuni e che chi voglia ricercare la verità debba avvicinarsi ad ognuna di esse senza timore. L’unica eccezione, almeno per quanto riguarda Ficino, è costituita dall’aristotelismo, perché ripone poca fiducia nelle possibilità umane: l’uomo per i neoplatonici è simile a Dio, perché in lui alberga lo stesso potenziale creativo; la sua arte è espressione della sua natura divina e la magia è la suprema delle arti, perché mette in contatto i due principi di realtà, quello mortale e quello immortale. Le opere umane sono quindi testimoni della sua grandezza e possono superare la natura in bellezza. Al contrario, l’aristotelismo vede l’arte come imitazione della realtà e l’arte della natura prevalere sempre su quella dell’uomo.
Accademia Neoplatonica di Firenze.

La polemica anti-aristotelica fu al centro delle opere di Ficino, mentre sembra fosse di poco interesse per Pico, che concentrò la propria attenzione più su cosa le filosofie avessero in comune che su quali fossero le loro differenze. Ma questo probabilmente non deve stupire, perché Marsilio Ficino nacque una trentina d’anni prima di Pico della Mirandola, fu il fondatore della Nuova Accademia di studi platonici e dovette quindi affrontare il nodo della fondamentale contrapposizione Platonismo-Aristotelismo: la sua opera punta, almeno ai primordi, a scardinare i pregiudizi degli aristotelici nei confronti delle nuove teorie e i suoi primi studi di filosofia greca classica, compiuti sotto la guida di un aristotelicissimo maestro, tendono a ritornare ostinatamente su Epicuro, Lucrezio e, naturalmente, Platone. La situazione si fa talmente scandalosa che l’allora arcivescovo di Firenze Antonino Pierozzi si vede obbligato a spedire il giovane Ficino a Bologna, per studiare medicina e la filosofia di san Tommaso d’Aquino. Inutile dire che la premura non sortisce gli effetti sperati: al suo ritorno nella natia Firenze un entusiasta Cosimo I Medici chiede a Marsilio di fondare una scuola dove si traducano e si studino le opere di Platone e dei platonici. È così che nel 1462 nasce nella villa di Careggi la Nuova Accademia Platonica: qui Ficino comincia la traduzione dal greco dei quattordici volumi del Corpus Hermeticum, opera attribuita inizialmente all’antica sapienza egizia ma in realtà appartenente alla corrente di pensiero pagana dell’epoca primo-Cristiana (II secolo d. C. circa). Gli scritti erano stati recuperati in Macedonia da un monaco, tale Leonardo da Pistoia, che faceva ricerche di studi di filosofia greca per conto dei Medici. Nel Corpus Ficino vede l’origine di un sapere antico, una prisca theologia e una pia philosophia: Ermete Trismegisto fu il primo a studiare il mistero di Dio, fondando la disciplina teologica. A lui seguirono Orfeo, Pitagora, Aglaofemo e Filolao, in una tradizione di filosofia che ebbe il suo culmine con Platone. La loro sapienza conteneva la rivelazione della Trinità, un miracolo che si è realizzato pienamente con la venuta di Cristo e la nascita della Chiesa. Per questo sia il pensiero di Ficino che quello di Pico sono caratterizzati da un così fiducioso sincretismo religioso e filosofico: non c’è conflitto fra Cristianesimo e Pitagorismo, o fra Cristianesimo e Gnosticismo, perché il messaggio di verità è sempre lo stesso; allora lo scopo dei nuovi platonici del Rinascimento è quello di raccogliere la tradizione, tradurre gli scritti, studiarli, commentarli per far rivivere la rivelazione. Ed è proprio quello che Marsilio Ficino fa: dopo il Corpus la sua attenzione si concentra sui dialoghi di Platone, che traduce e commenta negli anni dal 1463 al 1468 (da questo lavoro così corposo nasce la sua Theologia Platonica de immortalitate animarum, opera che si riallaccia al concetto di prisca theologia) e alle Enneadi di Plotino, tradotte nel 1484, per poi rivolgersi a Giamblico, Proclo, Teofrasto e molti altri. Ficino compie un lavoro di traduzione immenso che spalanca le porte della filosofia dei greci agli studiosi di tutta Europa, creando un ponte fra antichità ed era moderna. Scrive infine i Tre Libri sulla Vita (De Vita Libri Tres, 1489), opera che gli procura accuse di magia (pochi anni più tardi, nel 1495, Ficino è infatti costretto a difendersi con una Apologia) e un commento a san Paolo che però lascia incompiuto a causa della sua morte nel 1499.

Il brillante enfant prodige Giovanni Pico della Mirandola morì alla prematura età di 31 anni.
Giovanni Pico della Mirandola. Galleria degli Uffizi.
Accanto alla sua figura si muove l’altro punto cardine del Rinascimento: sebbene sia molto più giovane, Giovanni Pico della Mirandola è dotato di un’intelligenza fuori del comune e a soli ventiquattro anni scrive la sua Oratio De Hominis Dignitate e novecento Conclusiones philosophicae, cabalisticae et theologicae, in vista di un congresso filosofico universale che non si svolse mai. Se Ficino crea le basi del Rinascimento grazie al suo lavoro di traduttore, Pico lo fa dal punto di vista filosofico, proponendo una nuova concezione dell’umanità, caratterizzata dal più assoluto libero arbitrio, in grado di elevarsi alle più alte sfere o di abbrutirsi nella più corrotta delle nature. Pico è un genio, dotato di una memoria che nel corso dei secoli è diventata proverbiale e di una profonda conoscenza linguistica (conosceva perfettamente latino, greco, francese, arabo, aramaico ed ebraico) e la sua morte prematura a soli trentuno anni ha impedito il pieno sviluppo quella che in potenza era una delle menti più brillanti del suo tempo.
Dopo questa breve introduzione al contesto filosofico e storico in cui nasce il magus rinascimentale sarà bene dare uno sguardo più approfondito agli scritti dei nostri due filosofi che trattano direttamente di magia. Questi sono la Theologia Platonica e il De Vita Coelitus Comparanda per quanto riguarda Marsilio Ficino e l’Heptaplus, le Conclusiones, la Oratio per Pico.

Partiamo dal De Vita e dalla Theologia Platonica, esaminando il concetto di magia espresso da Ficino. Secondo lui l’unico tipo di magia permessa è quella naturale, ovvero quella che sfrutta l’influsso astrale e planetario per modificare la realtà materiale e migliorarla: il cosmo è diviso in tre parti, collegate le une con le altre. La prima parte è la più nobile, quella che emana direttamente da Dio e che nella filosofia platonica corrisponde al mondo delle Idee: è il mondo dell’Intelletto, o Mente Angelica (o mondo sopraceleste); in esso risiedono le forme pure della realtà e gli angeli; la seconda parte è il mondo celeste, o Anima Mundi: in essa risiedono le potenze astrali e planetari, che discendono per mezzo di Luce dalle forme pure; la terza ed ultima parte è la Terra, o Corpus Mundi: le forme materiali corrispondenti delle Idee. Questa tripartizione dell’universo è applicabile anche all’Uomo perché egli è microcosmo del grande disegno divino: la Mens Angelica nell’Uomo corrisponde alla Mens, che è in grado di comunicare direttamente con la Mente di Dio attraverso l’Intelletto; il Corpus Mundi diventa nell’Uomo il Corpo, e l’Anima Mundi l’Anima, o Ratio. Essa, sia per quanto riguarda il cosmo che per quanto riguarda l’Uomo, funge da intermediaria fra i due poli opposti e pervade tutta la materia. Ficino individua un canale fra l’Anima e il Corpo, lo spiritus: si tratta, scrive il filosofo, di una sostanza impalpabile, ariosa; attraverso di essa promana l’influsso delle stelle ed è questo che il mago sfrutta per agire sulla realtà. I tre mondi, sopraceleste, celeste e terrestre sono interconnessi, perché le Idee del mondo superiore proiettano ombre di se stesse sulle stelle che poi diventano materia sulla Terra e l’uomo, in quanto microcosmo, svolge un ruolo centrale all’interno di questo raffinato meccanismo: egli è simile a Dio perché come lui è creatore, artista. Ficino suddivide le arti in una scala gerarchica: ci sono le arti domestiche, che aiutano a provvedere ai bisogni primari, quelle governative, che regolano l’ordinamento di una società; le arti musicali, matematiche, l’esplorazione delle cose della natura, la poesia e l’oratoria sono arti superiori, perché rivelano la partecipazione della Mens umana a quella divina. C’è, infine, la suprema forma d’arte, la magia: essa è la più grande di tutte, è l’apice del potenziale creativo dell’Uomo e la prova della sua natura divina perché permette di agire sulle forze che governano il Creato. Per essere iniziato alle pratiche magiche il magus deve prima compiere un percorso di redenzione, contemplando le Idee presenti nella Mente: quando l’anima è purificata, si ottiene la capacità di agire sul secondo livello di esistenza del cosmo, il mondo celeste. Così, se una forma sulla Terra si degrada, il mago può intervenire agendo sulla forza celeste che la governa. Quel che più conta però per Ficino, è il benessere fisico e mentale del mago stesso, che deve prima di tutto impiegare le arti apprese sulla propria anima. Come Dio ha creato l’uomo a propria immagine, così l’anima modella il corpo secondo la sua forma e lo utilizza per modificare la realtà attorno a sé attraverso l’arte magica. L’anima può anche trascendere il corpo elevandosi in un’estasi spirituale, un processo che le permette di esercitare un potere trasformante sull’intero cosmo o di indirizzare la propria influenza dal suo corpo ad un altro. La magia di Ficino quindi può essere rivolta verso se stessi (magia soggettiva) o verso la realtà materiale (magia transitiva): nel primo caso il mago attira lo spiritus mundi su di sé, unendolo al proprio per ottenere benefici mentali e fisici; nel secondo caso egli imprime al proprio spiritus l’influenza di un pianeta o di una stella e la proietta verso l’obiettivo che preferisce attraverso lo sguardo. Questo secondo tipo di magia apre scenari vagamente inquietanti: il mago sarebbe in grado, proiettando i diversi influssi, anche di prendere il controllo della mente altrui; per questo, spiega Ficino, la magia transitiva può essere usata solo da chi abbia il pieno controllo della magia soggettiva e una sufficiente preparazione spirituale.


L'uomo che voglia elevarsi e diventare mago deve essere umile e intraprendere un percorso di purificazione.
Earthbound, opera di Evelyn de Morgan.

La magia naturalis di Marsilio Ficino è una pratica quindi che sfrutta soltanto le potenzialità offerte dal secondo livello di realtà, il mondo celeste. Ad essa si possono accompagnare diversi metodi per attirare l’influsso stellare: certe piante e minerali sono associabili ad un tale pianeta e quindi sfruttabili per attirarne l’influsso; talismani, unguenti e polveri sono oggetti magici che per forma o materiale di costruzione hanno la capacità di concentrare su di sé lo spiritus di stelle e pianeti; c’è infine la musica, uno dei mezzi più potenti di magia. Per quanto riguarda i talismani Ficino chiarisce che, sebbene l’anima mundi sia presente ovunque, il mago può costruire luoghi e oggetti che ne concentrino l’influsso, le cosiddette figurae: la figura più efficace sarebbe la mundi figura, ovvero una rappresentazione geometrica che riproduca la perfetta armonia del cosmo; se ognuno ne tenesse una sempre con sé in modo da poterla contemplare ogni giorno avrebbe costantemente davanti agli occhi l’immagine unita e armoniosa dell’universo sovrapposta alla visione della realtà particolare. Ma ancora più perfetta sarebbe l’anima del mago se riuscisse a creare una figura di se stesso: l’armonia non sarebbe più qualcosa da contemplare all’esterno ma albergherebbe dentro di lui e la contemplazione non avrebbe bisogno di avvenire fuori dalla propria anima. Per quel che concerne la musica poi, Ficino sembra considerarla il mezzo più adatto ad attirare spiritus: la musica infatti è costituita da forme matematiche pure, a differenza dei talismani, che sono oggetti concreti, e si imprime nell’aria con un movimento continuo, ordinato e sequenziale, raggiungendo facilmente lo spiritus individuale. Inoltre, aggiungendo un testo alla melodia, il mago è sicuro che il suo contenuto arriverà direttamente alla Mens. Il canto orfico, così viene chiamato questo tipo particolare di musica, derivante dalla tradizione dei misteri orfici, implica l’invocazione di alcune divinità pagane: per Ficino esse non sono altro che forze celesti (mundana numina), entità intermediarie fra Dio e il mago, assolutamente inoffensive e tanto meno diaboliche.

Il mago ficiniano appare dunque come una figura pia, una sorta di mago-sacerdote che utilizza la propria arte esclusivamente per fini spirituali: egli non ricerca poteri straordinari, e non si spinge oltre i confini del secondo livello di realtà, limitandosi ad invocare le forze celesti per curare l’anima e il corpo suo e dei suoi pazienti (non bisogna dimenticare che Marsilio è figlio di un medico e ha studiato medicina lui stesso). Ben diversa appare l’arte magica elaborata da Pico della Mirandola: come si è già detto, Pico aveva un temperamento più esuberante del suo contemporaneo, un tratto del suo carattere derivante forse da una giovane età unita ad uno degli ingegni più brillanti del secolo. Sicuramente la sua preparazione in fatto di magia era più completa del suo contemporaneo, se si pensa che alla sola età di ventiquattro anni aveva già elaborato un complicato sistema filosofico fatto di cabala, magia orfica, magia naturale, filosofia patristica, ermetica e platonica e che le sue novecento tesi compaiono a pochi anni di distanza dalla Theologia di Ficino.


Il mago di Pico è molto più spericolato di quello di Ficino e si muove sul filo dell'accettabile, sperimentando forze ambigue e pericolose.
Cleric by yefumm, Deviantart.

Nei suoi scritti (Conclusiones, Oratio, Heptaplus) Pico unisce la magia naturale ficiniana al complesso sistema della cabala ebraica, che crede essere di gran lunga più efficace nel campo della magia perché permette di accedere alle potenze angeliche che governano il mondo celeste. Pico infatti ritiene che il mago debba spingersi oltre il secondo livello di realtà (l’Anima Mundi) per rivolgersi al mondo sopraceleste (la Mens Angelica): talismani e canti orfici da soli svolgono un’influenza superficiale sulla realtà, e non contribuiscono a migliorarla nella sostanza. Con l’aiuto della cabala ebraica invece il mago può attingere direttamente alla sfera delle Idee platoniche, ricevendo molto più potere: la sua azione sul mondo si fa determinante e il suo ruolo centrale, perché contribuisce a completare l’opera creatrice di Dio. Il mago pichiano, per quanto assomigli a quello ficiniano, è dotato di maggior audacia, perché prende le fila direttamente dal concetto che Pico elabora sulla natura umana nella sua celebre Oratio: l’uomo è dotato da Dio del libero arbitrio e può quindi scegliere di vivere in qualsiasi gradino della scala gerarchica esistenziale voglia; egli può decidere di elevarsi nella Mens Divina o di abbrutirsi nel Corpus. Questa abilità gli conferisce un immenso potere sul Cosmo, e lo rende simile a Dio, infatti quando l’uomo diventa magus acquista il dono di poter “sposare il mondo”, ovvero di conciliare gli opposti: l’umile col superiore, il basso con l’alto, il terreno con l’angelico. Il mago redime la realtà perché, avendo unito la propria anima con Dio vive in costante contemplazione delle Idee: può quindi riunire il concreto con l’Idea che lo governa. La chiave di questo processo risiede, dice Pico, nei simboli della cabala: i nomi che essa contiene e i simboli numerologici delle sefirot sono molto più potenti delle figurae ficiniane.

Pico suddivide la cabala in due branche: la cabala speculativa e la cabala practica. La prima serve per perfezionare l’anima e ripristinare nella Mens la conoscenza perduta di Dio e del Cosmo, la seconda è l’applicazione di tale conoscenza nelle opere di magia transitiva. Con il secondo tipo di cabala il mago invoca le dieci sefirot[1] e i daemones che regolano gli influssi celesti, i trentasei arcani dello zodiaco: qui l’operazione si fa estremamente delicata e si deve stare attenti perché se la preparazione non è sufficiente si può finire con l’invocare angeli malvagi. Nelle sfere sopracelesti infatti vivono potenze angeliche benefiche e, specularmente, potenze malvagie (Pico le chiama ultores): l’esperienza redentiva del mago deve quindi andare di pari passo alla sua pratica magica e consiste in un’ascesa attraverso le sfere; se fatta correttamente, le potenze positive di ogni livello di esistenza scacciano le loro corrispondenti negative. È proprio qui che le strade di Marsilio Ficino e Pico della Mirandola si dividono: i due condividono l’intero apparato filosofico, concordano sul fatto che esista una verità in ogni filosofia, portata avanti nei secoli dalla prisca theologia e che essa faccia capo all’antico Egitto di Ermete Trismegisto. Sono entrambi convinti della centralità della figura di Cristo all’interno di questa cornice e dell’importanza della tradizione cristiana. Vedono l’uomo come microcosmo e il mago come supremo artista, ritenendo la pratica magica come un dono fatto da Dio a chi sa redimere la propria anima e reputano un dovere del mago il suo coinvolgimento nel mondo; credono che il mago, come Dio, debba amare le creature terrestri e operare per il loro bene e la loro purificazione. Ma il mago di Ficino è quasi una figura sacerdotale e si limita prudentemente ad invocare influssi stellari, non ritenendo saggio spingersi verso entità superiori. Il mago di Pico invece ritiene che la mediazione dell’Anima Mundi sia di poco effetto e che, per aver un maggiore impatto sul mondo ci si debba rivolgere direttamente alla sfera della Mens Angelica. È inoltre convinto che l’unica via per giungervi sia quella di fare ricorso alla cabala, prima la speculativa, per purificare l’anima, e poi la practica per usare la magia. Raggiunte le sfere superiori il mago si trova a confronto con le potenze angeliche, e deve stare attento, perché alcune di loro sono benevole ma altre tutt’altro: soltanto continuando un percorso di redenzione può sperare di salvarsi dagli influssi degli angeli cattivi. Bisogna però qui fare un’osservazione: Marsilio Ficino poteva anche apparire poco audace al temerario Pico, in continua combutta con angeli e demoni, ma va ricordato che Ficino era fermamente convinto dell’importanza rivestita dall’Anima Mundi all’interno della pratica magica. Secondo lui la mediazione dell’Anima Mundi era l’unico modo per fare della magia, la stessa natura mediana dell’Anima permetteva il contatto fra Mens Angelica e Corpus Mundi: la sua non era codardia, era solo che non credeva di aver bisogno di salire troppo in alto per prendere ciò che gli serviva.
(Continua...)


Testo originale a cura di Valentina Fatichenti.


[1] Le dieci sefirot corrispondono alle dieci gerarchie angeliche: ognuna di esse esiste nel mondo terreno ma è anche “a capo” di una classe di spiriti (o angeli) che governano la sfera celeste e quella terrestre.


Friday, October 13, 2017

La semplicità degli hobbit: lettera inedita di JRR Tolkien

È di questi giorni la scoperta a cura del centro di ricerche sulle collezioni di Edimburgo di una lettera assolutamente inedita del Professore: in essa troviamo i ringraziamenti di Tolkien ad uno dei professori che gli hanno conferito una laurea honoris causa. È il 1973 e alla veneranda età di 81 anni Tolkien continua a ricevere riconoscimenti per la sua opera: in questo caso la festa è stata particolarmente entusiasmante e il Professore pensa bene di ringraziare con calore, concedendo anche qualche riferimento diretto ai propri scritti.


28 luglio 1973


Gentile professor Campbell,

Sono appena tornato ad Oxford dopo ulteriori viaggi e le scrivo, piuttosto in ritardo, per ringraziarla del suo contributo agli eventi dell’11 e del 12 luglio. Per me sono stati, in festeggiamenti e cerimonie, la più magnifica celebrazione accademica a cui abbia mai preso parte. Con mia sorpresa sono sopravvissuto alla festa con piacere intatto, dovuto alla generosa sostituzione del vino con il whisky. Ciò conferma la veridicità del consiglio datomi dal mio dottore: “Trasferisci la tua lealtà completamente da Bacco a Cerere.”

Al momento della celebrazione mi sono sentito come uno hobbit de Il Signore degli Anelli, in particolare come Merry e Pipino: grande orgoglio e piacere nel ricevere tale alto onore e titolo, combinati a (e in qualche modo incrementati da) una difficoltà nel credere che stesse veramente succedendo a me, che fosse davvero meritato e non il puro frutto della generosità dei miei superiori.
Le parole che mi hanno dedicato sono state travolgenti, specialmente quando hanno detto “e questo lo rende uno di noi”. Le assicuro che Edimburgo mi ha catturato e, nonostante i miei 81 anni mi rendano riluttante a viaggiare lontano, un ritorno al nord, se ci fosse l’opportunità e la salute me lo consentisse, sarebbe fuor di dubbio.


Sinceramente suo,
J.R.R. Tolkien


Traduzione a cura di Valentina Fatichenti



Thursday, June 23, 2016

I due volti dello Studio Ghibli - Isao Takahata e Hayao Miyazaki


Isao Takahata e Hayao Miyazaki sono i due collaboratori e artisti migliori che lo Studio Ghibli (e, in generale, il mondo dell’animazione) abbiano mai prodotto. Il timido Takahata, a differenza del più estroverso Myiazaki, non ammetterà mai apertamente il suo talento, nè tantomeno il contributo che il suo lavoro ha fornito all’arte del nostro tempo. La sua opera è stata una delle più influenti e ha raggiunto il culmine con il film “The Tale of the Princess Kaguya” (in italiano “La storia della principessa splendente”), per il quale è stato nominato all’Oscar.

Per parte sua Myiazaki, con il suo stile quasi bohémien un po’ strafottente, un po’ presuntuoso (a ragione, non credete?) ma sempre profondamente giapponese, rappresenta l’antitesi del buon Takahata, il suo equivalente al contrario. Stesso talento, stessa sensibilità artistica, atteggiamento opposto.

La differenza fra i due viene raccontata in maniera estesa e sorprendentemente accurata nel docu-film del 2013, “The Kingdom of Dreams and Madness” (“Il regno dei sogni e della follia”), un delicato viaggio nel magico mondo dello Studio Ghibli e nella fantasia di due dei più grandi artisti dell’era contemporanea. Esso ci trasporta nel loro universo analizzando in maniera accurata l’opinione che ognuno ha dell’altro: Takahata ritiene “Miya-san” un “superficiale”, energetico, estroso e un po’ cinico. Miyazaki si diverte a punzecchiare Takahata sulla sua, ormai proverbiale, lentezza nella creazione di un film, nonché e sul suo eccessivo zelo. Al momento delle riprese di “Il regno dei sogni e della follia” i due stanno ultimando le opere conclusive della loro carriera (“La storia della principessa splendente” e “Si alza il vento”). Miyazaki ironizza spesso sul fatto che Takahata non riuscirà mai a finire il suo film. Viene raccontato da artisti e collaboratori come spesso sia accaduto che i due si siano inalberati in discussioni accese e infinite e come ognuno abbia tentato di sopraffare l’altro con le loro opinioni: la conclusione il più delle volte è stata che entrambi sono usciti dalla “battaglia” esausti e insoddisfatti perché incapaci di avere ragione l’uno dell’altro.

Dal punto di vista formale, i due artisti si differenziano per molti aspetti: il tratto grafico di Miyazaki è sempre netto, limpido, i colori delle sue illustrazioni vivaci e realistici. Lo stile di Takahata è, al contrario, quasi impressionista nella sua semplicità. In alcuni casi, come ad esempio per il suo ultimo lavoro, le sequenze si susseguono fluide come se fossero bozzetti in movimento: i personaggi sono delineati in maniera più marcata, mentre lo sfondo è in continua mutazione, come se il disegno stesso si ribellasse a farsi trasformare in realtà, ma anzi si ostinasse a restare incompleto, fluido appunto. Anche le storie raccontate dai due sono molto diverse: Miyazaki è ispirato, glorioso, funambolico - Takahata riflessivo, melanconico, quasi spirituale. Due facce della stessa medaglia? Probabilmente, ma sarebbe riduttivo considerarli sono i due volti dello Studio Ghibli. Il loro talento e la loro magia resisterà nel tempo e questo accade solo quando l’arte è vera, pura, inimitabile.

Opposti? Forse. Unici? Sicuramente.

Valentina Fatichenti

Wednesday, June 15, 2016

Conference on the influence of nordic literature on Tolkien's works. Florence, June 14th.






































Il 14 giugno il centro Smial di Firenze, in collaborazione con l'associazione culturale Liberamente Pollicino, ha organizzato una serata dedicata a JRR Tolkien.

È stata un'occasione per approfondire gli aspetti dell'opera tolkeniana legati alla tradizione norrena, e per presentare i miei studi sull'argomento: siamo partiti da una panoramica sui Paesi nordici e le loro culture facendo le dovute distinzioni in base alle mitologie e alle lingue che possono aver influenzato o anche solo interessato Tolkien (differenza fra scandinavo e nordico, mitologia norrena e finnica e di quei testi - saghe nordiche, Edda e Beowulf in particolare - che possono aver influenzato l'immaginario tolkeniano). Proprio dal confronto fra tali testi e le opere tolkeniane sono nate le riflessioni cruciali della serata: abbiamo confrontato temi, personaggi e moduli con Silmarillion, Signore degli Anelli e Lo Hobbit. Il confronto non è stato tanto sul piano delle ”apparenze" (o non solo), quanto della “sostanza”. Le opere tolkeniane conservano infatti lo stesso spirito eroico e mitico, lo stesso senso di un destino al quale non si può sfuggire, ma con il quale si può combattere, delle saghe norrene.

Ringrazio i responsabili del centro culturale, che hanno messo a disposizione gli spazi e la strumentazione e il pubblico intervenuto per l'interesse mostrato.
In particolare ringrazio Simone Bonechi, presidente dello Smial di Firenze, per la sua disponibilità e valido aiuto, senza il quale l'evento non sarebbe stato possibile.

Thursday, June 2, 2016

Graphic novels scandinavi - Sara Olausson, "Det kunde varit jag"

Immagine di copertina

Sara Olausson - Det Kunde Varit Jag
(Sarei potuta essere io)
Kartago

Il libro, che ha ottenuto il plauso della critica nonché quello del pubblico svedese, segue le vicende di Felicia, emigrata dal suo Paese, la Romania, in cerca di un futuro migliore e finita a fare la mendicante per le strade di una qualunque città svedese. L'autrice, Sara Olausson, racconta la quotidianità di Felicia, fatta di difficoltà ma anche di desideri, di piccole gioie e degli innumerevoli ricordi della sua vita precedente. La storia è tratta da un'esperienza della stessa Olausson, che l'ha scritta dopo essere stata colpita dalle vicissitudini della protagonista.

In basso, un estratto della versione originale e la traduzione. Di seguito il link al libro (in svedese): Det kunde varit jag.